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Cambio destinazione d’uso? Ecco i casi in cui il Salva Casa non lo permette

Il Salva Casa ha semplificato molte procedure edilizie, ma persistono ancora alcuni limiti per quanto riguarda il cambio di destinazione d'uso: vediamo quando non è consentito.

26-05-2025

Alessia Mancini

Content manager e blogger

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Il Decreto Salva Casa ha introdotto importanti novità per semplificare le procedure di modifica della destinazione d’uso degli immobili. Tuttavia, non sempre queste agevolazioni sono applicabili: esistono infatti situazioni specifiche dove la normativa nazionale cede il passo alle regolamentazioni locali, creando limitazioni significative per i proprietari.

Le competenze regionali prevalgono sulle semplificazioni nazionali

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La prima importante considerazione riguarda la distribuzione delle competenze normative. Sebbene il Salva Casa abbia stabilito procedure più snelle a livello nazionale, l’efficacia di queste misure dipende strettamente dall’approvazione delle singole Regioni. Ogni amministrazione regionale mantiene infatti la facoltà di valutare se le agevolazioni introdotte dal decreto si armonizzino con le caratteristiche specifiche del proprio territorio. Il risultato è un panorama normativo diversificato, dove procedure identiche possono avere esiti diversi a seconda della regione di riferimento.

Destinazione d’uso: le cinque categorie funzionali degli immobili

Per comprendere appieno i limiti del Salva Casa, è fondamentale conoscere la classificazione funzionale degli edifici stabilita dal Testo Unico dell’Edilizia. La normativa identifica cinque macro-categorie principali:

La categoria residenziale comprende tutte le tipologie abitative, dalle case unifamiliari ai condomini. La funzione turistico-ricettiva raggruppa invece strutture come hotel, bed & breakfast, ostelli e campeggi.

Per quanto riguarda le attività economiche, si distingue tra funzione produttiva e direzionale (che include uffici, laboratori, studi professionali e impianti produttivi) e funzione commerciale (negozi, centri commerciali, bar e ristoranti).

Infine, la categoria rurale è riservata agli immobili destinati ad attività agricole, zootecniche e agrituristiche.

Negli edifici che ospitano contemporaneamente attività diverse, la destinazione d’uso viene determinata dalla funzione che occupa la superficie maggiore. Un esempio tipico è rappresentato dall’azienda agricola che destina una piccola porzione dei propri locali alla vendita diretta dei prodotti: in questo caso, nonostante la presenza di un’attività commerciale, l’immobile manterrà la classificazione rurale.

I casi critici: quando il Salva Casa non basta

Un esempio concreto delle limitazioni del decreto emerge da una recente pronuncia del TAR Lazio. Il caso riguardava la trasformazione di un seminterrato da deposito ad abitazione, con la realizzazione di quattro vani abitativi completi di tutti i servizi.

Il proprietario aveva presentato regolare SCIA basandosi sulle semplificazioni del Salva Casa, ma il Comune aveva bloccato i lavori ordinando la demolizione delle opere già realizzate. La questione è finita davanti ai giudici amministrativi, che hanno dato ragione all’amministrazione comunale.

Il TAR Lazio ha chiarito un principio fondamentale: quando si verifica un cambio di destinazione d’uso “verticale” (cioè tra categorie funzionali diverse), l’intervento incide inevitabilmente sul carico urbanistico del territorio.

La sentenza ha ribadito che per gli immobili situati al primo piano fuori terra o nei seminterrati, le norme regionali mantengono il ruolo decisivo nell’autorizzare i cambi di destinazione tra categorie diverse. In questi casi, non è sufficiente presentare una SCIA, ma diventa obbligatorio richiedere il permesso di costruire, con tempi e procedure più complesse.

Questa situazione genera incertezza per i proprietari, che si trovano a dover verificare non solo la conformità alla normativa nazionale, ma anche la presenza di specifiche disposizioni regionali che autorizzino l’intervento desiderato.

Le linee guida ministeriali e i chiarimenti operativi

Il Ministero delle Infrastrutture ha tentato di fornire maggiore chiarezza attraverso apposite linee guida, che affrontano alcune delle problematiche più frequenti emerse nell’applicazione pratica del decreto.

Le linee guida precisano che i Comuni mantengono la facoltà di introdurre limitazioni specifiche negli strumenti urbanistici per controllare i cambi d’uso e preservare l’equilibrio territoriale. Tuttavia, eventuali restrizioni devono essere adeguatamente motivate e giustificate dalle peculiarità locali.

Un altro aspetto chiarito dalle linee guida riguarda il rapporto tra cambio di destinazione d’uso e interventi edilizi. Il Ministero ha specificato che la rilevanza urbanistica della modifica funzionale non dipende dalle opere eventualmente realizzate in contemporanea. Questo significa che la natura e l’entità dei lavori edilizi non influenzano la procedura autorizzativa per il cambio d’uso, ma possono invece incidere sui permessi necessari per la realizzazione degli interventi fisici sull’immobile.

Data la complessità normativa e le numerose variabili in gioco, è fondamentale affidarsi a ditte specializzate in ristrutturazioni che possano guidarti attraverso l’intero processo. I professionisti del settore conoscono approfonditamente sia la normativa nazionale che le specificità regionali, garantendo una gestione corretta delle pratiche burocratiche.

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